Quando parliamo di Internet, parliamo di contenuti e di proprietà degli stessi: come per gli oggetti materiali, ci preoccupiamo tutti di tutelare quello che creiamo – testi, musica, video, altre opere – e sappiamo che il web è il luogo dove spesso avvengono furti di ogni tipo, spesso in buona fede, altrettanto spesso per puro scopo di lucro.
Come ci si tutela online e che scenari si aprono per chi crea o porta le sue opere su Internet e desidera almeno poterne stabilire la paternità? Ne parliamo con un’amica di Ehiweb esperta in materia, l’Avvocato Claudia Roggero dello Studio Legale Dandi Media, specializzato in diritto d’autore.
Con Claudia siamo andati alla scoperta della blockchain come metodo per tutelare le opere che vivono su Internet. La blockchain è un database diffuso, un “contenitore” o registro: è nato con il sistema dei BitCoin, la valuta open source, in funzione proprio di registro delle transazioni, ma può tenere traccia di ogni tipo di scambio e allargarsi anche al tema che ci interessa in questo post, cioè la protezione delle opere immateriali che vivono su Internet. I vantaggi più evidenti: certificare con la blockchain è un’operazione semplice (ce lo spiegherà Claudia Roggero più avanti), economica, sicura e affidabile perché la blockchain non è centralizzata ma distribuita e accessibile da tutti.
Ciao Claudia, ci spieghi un po’ come il tuo lavoro ha a che fare con Internet?
Per noi professionisti del copyright che lavoriamo nel campo della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, Internet è una sfida. Regolamentare Internet non è semplice, soprattutto perché i contenuti che vivono online sono tracciabili con difficoltà ed è facile nascondersi: per esempio, se vendo online abbigliamento con marchi contraffatti sarà molto facile nascondere la mia identità.
La stessa cosa vale per chi usa fotografie e video senza citare l’autore o senza chiedergli il consenso e magari lo fa per ricavarne profitto. Esiste la convinzione errata che tutto quello che si trova su Internet sia usabile liberamente: non è così e, quando si scaricano o si usano contenuti trovati online, bisognerebbe fare attenzione e verificare la titolarità dei diritti, anche perché di solito l’autore inserisce una licenza di utilizzo.
Oggi ad esempio sono molto diffuse le licenze CC-Creative Commons, licenze libere attraverso le quali chi ha i diritti di un’opera decide di condividerla con il pubblico, riservandosi solo alcuni dei diritti d’autore che la legge gli garantisce. Le Creative Commons, rappresentate dal logo “CC”, introducono il nuovo concetto di “some rights reserved” e sono quindi una via di mezzo tra il rigido modello del copyright: “All rights reserved”, e quello del pubblico dominio: “No rights reserved” rispettivamente contraddistinti dai loghi “C” e “PD”.
Le licenze CC sono strutturate in due parti: nella prima parte sono indicate le libertà che l’autore vuole concedere alla sua opera; nella seconda parte sono specificate le condizioni alle quali è possibile utilizzare l’opera.
Secondo la tua esperienza, qual è il problema che chi crea contenuti e vuole proteggerli dall’appropriazione indebita si trova a dover fronteggiare con più frequenza?
Il problema principale è la liquidità dei contenuti. Il nostro ordinamento, almeno nelle intenzioni, ha da sempre riconosciuto qualsiasi forma espressiva caratterizzata da creatività e unicità come meritevole di tutela. Questa tutela dichiarata e indistinta si scontra però con la realtà normativa che, in ambito operativo-applicativo, tutela ogni forma espressiva caratterizzata da un corpo materiale, come nel caso della pittura e della scultura.
Come tutti sappiamo, però, l’avvento del web e delle nuove tecnologie ha dato il via alla creazione di altre forme espressive come fotografie, video, audio musicali, semplici sequenze di algoritmi, e di correnti artistiche – una tra tutte la Net Art – che hanno evidenziato tutte le lacune di un diritto d’autore non in grado di fornire quella tutela di cui si è sempre fatto portatore.
Insomma, è oggettivamente difficile tutelare l’autore di un’opera, ma anche lo stesso mercato, dalle appropriazioni indebite, dalle contraffazioni, dalle alterazioni e dalle riproduzioni non autorizzate, cioè in tutti quei casi nei quali la violazione dei diritti d’autore non sia una forma d’arte a sé.
Ci parli della tutela delle opere digitali con la blockchain?
Oggi, lo strumento in uso per tutelare la paternità dell’opera d’arte contro abusi potenziali è il certificato di autenticità rilasciato dall’artista, se ancora in vita, oppure da esperti, case d’asta, gallerie, archivi, e che contiene tutte le informazioni identificative e descrittive dell’opera e ne attesta provenienza e/o l’attribuzione.
Questo certificato va bene per le opere che hanno un corpo materiale, ma come si possono tutelare le opere digitali, cioè quelle opere create grazie a hardware e software, che tutti in genere usiamo e consumiamo in rete? È un problema: ci sono tantissimi creatori di contenuti che non ricevono un compenso adeguato perché il sistema della proprietà intellettuale è inefficace. Un esempio classico è la musica, che oggi non garantisce più le entrate di una volta.
Per superare i limiti di un certificato di autenticità cartaceo che non potrebbe accompagnare e seguire efficacemente un’opera digitale e offrirle una tutela immediata e incorporata, sono sempre più diffuse le piattaforme e le tecnologie fondate sulla marcatura temporale che usano lo stesso linguaggio informatico e tutelano le opere con efficacia maggiore rispetto al certificato di autenticità. Tra le più innovative ci sono appunto le piattaforme che operano attraverso il database blockchain, che usa la tecnologia peer-to-peer e può certificare la provenienza e l’autenticità delle opere d’arte digitale.
Imogen Heap, cantautrice apprezzata e innovativa, tutela la sua musica su un sistema di blockchain che lei chiama Mycelia, un contratto intelligente che protegge i suoi diritti di proprietà intellettuale. Le sue canzoni si possono ascoltare gratis o pagarle pochi centesimi su un conto digitale, si possono usare in un film come colonna sonora e persino come come suoneria: i diritti licenziati sono diversi ma il contratto li prevede tutti. Così facendo, la Heap vuole trasformare la canzone in business: la canzone si vende da sola, i diritti sono protetti e il denaro arriva all’artista senza bisogno di intermediari.
La blockchain non vale solo per i cantautori ma più in generale per artisti, inventori, studiosi, giornalisti, persone che non ricevono un giusto compenso e che usando la blockchain possono guadagnare quel che gli spetta.
Fotografie, loghi, marchi ma anche altri tipi di contenuti: è possibile proteggerli con efficacia usando la blockchain? E si può fare tutto da soli?
La blockchain applicata al diritto d’autore è un metodo trasparente e affidabile utile per tutelare le opere d’arte digitali e altre espressioni della creatività ma può trovare applicazione anche in settori molto diversi come la finanza ma anche la pubblica amministrazione. Siti come Blockai, Pixsy, TinEye, Ascribe, Mediachain e Proof of Existence usano la blockchain per registrare e proteggere le opere contro le contraffazioni.
Su Blockai, per stabilire la “proprietà” di un contenuto basta trascinare il file corrispondente sull’interfaccia indicata per avere un certificato e un ID della transazione impossibile da manipolare e che contiene le informazioni riferite all’opera e al suo titolare. In questo modo l’artista, il collezionista o la stessa galleria potranno rivendicare in qualunque momento e contro chiunque la paternità dell’opera perché solo quest’ultima, munita di certificazione con data certa, potrà essere considerata l’originale.
Un altro grande vantaggio è che molti tra questi siti possono anche verificare velocemente se un contenuto è stato usato senza autorizzazione e opporre la registrazione come prova della autenticità del contenuto.