Succede spesso: visiti un sito web alla ricerca di quel paio di scarpe che ti piacciono tanto o di quel gadget hi-tech, magari inizi l’acquisto ma ti fermi perché non sei davvero convinto, o non avevi considerato le spese di spedizione. Ti dici che ci penserai, esci dal sito web in questione e in un attimo – su Facebook, nei banner di altri siti web che visiti – l’oggetto del desiderio riappare a tentarti.
Non è magia, è retargeting
Come succede? Non si tratta di lettura del pensiero. È una tecnica di marketing conosciuta dagli addetti del settore come remarketing o retargeting, utilizzata proprio per cercare di “riagganciare” e portare all’acquisto i visitatori che si sono limitati a una visita in cui magari hanno cercato solo le caratteristiche o il prezzo del prodotto.
Per chi vende, l’attività di remarketing/retargeting può essere molto importante perché la percentuale di acquisti conclusi alla prima visita è limitata, e diventa fondamentale non farsi dimenticare da un potenziale – ma indeciso – acquirente.
Tecnicamente l’azione di remarketing non è troppo complessa e non significa, come si può tendere a pensare, che l’azienda che ti rende oggetto di remarketing ti stia “spiando”: tutto è anonimo e frutto di un codice inserito nelle pagine del sito visitato, che genera un cookie, cioè un pezzetto di informazione che ti identifica come visitatore che ha già familiarità con quel sito (e che quindi potrebbe essere più propenso a concludere un acquisto).
Il retargeting è utile o noioso? Punti di vista
La pubblicità che ti segue grazie al retargeting potrebbe risultare un tormentone ma anche un sistema che con comodità ti ricorda o suggerisce prodotti interessanti.
In ogni caso, la legge italiana ha messo i paletti anche sull’utilizzo dei cookie, obbligando i siti a informare i visitatori che durante la navigazione saranno memorizzati questi pezzetti di informazione per inviare pubblicità mirata. Se proprio non li vuoi, questi cookie detti “di terze parti” possono sempre essere cancellati dal proprio browser.
L’abbandono del carrello e il recupero del cliente
Il marketing si interessa molto anche del fenomeno “abbandono del carrello”, in poche parole un processo di acquisto che si interrompe poco prima del pagamento per i motivi più disparati: spese di spedizione troppo alte, assenza del metodo di pagamento desiderato, generale insicurezza nel processo di acquisto e molto altro ancora.
Se abbandoni un carrello di un ecommerce e hai già lasciato la tua mail al sito in questione, magari facendo una registrazione veloce, probabilmente ti capiterà, entro massimo un giorno, di ricevere una mail che ti ricorda il sito che hai visitato e il prodotto che hai osservato. Se non torni sul sito per acquistare, qualche giorno dopo ti arriverà un’altra mail ed è possibile che questa contenga uno sconto sull’acquisto o un’altra offerta per portarti a finalizzarlo, cioè a comprare.
Chi lavora nel marketing sta molto attento ai comportamenti degli acquirenti, anche potenziali. E anche in questo caso niente di male, sei tu che hai lasciato volontariamente la tua mail – e quindi un modo di contattarti – anche se poi non hai acquistato.
Cambiando prospettiva, il carrello abbandonato fornisce anche a te un modo di provare a farti fare un’offerta su quella cosa che vorresti proprio comprare ma è ancora lì ad aspettarti.
Risorse utili
- Come disattivare i cookies sui vari browser – La spiegazione completa su WikiHow
- Guida alla pubblicità comportamentale – Your online choices
- Il Garante della Privacy e i cookies – Documento informativo