Da qualche anno, poco prima dell’estate dedichiamo un post alle STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e in particolare alle iniziative estive rivolte ai più giovani e con maggior riguardo alle ragazze, per avvicinarle a materie troppo spesso considerate appannaggio della popolazione maschile.
Quest’anno, causa emergenza Covid, non siamo riusciti a raccogliere in tempo un numero di informazioni sufficiente a creare un post e abbiamo optato per una soluzione alternativa e di qualità assoluta, un’intervista a una nostra vecchia e costante conoscenza, Francesca Marano, in passato libera professionista e sviluppatrice di siti web, oggi WordPress Core Team Lead a Yoast, azienda conosciuta nel mondo WordPress per i suoi numerosi plugin dedicati alla SEO, l’ottimizzazione per i motori di ricerca, e subito prima WordPress Community and Partnerships Manager a SitegGround, azienda di hosting internazionale.
Ma soprattutto, Francesca si definisce Educator e Mentor, mettendo in luce il suo impegno – tra altri di pari importanza – per le donne che lavorano e che vorrebbero lavorare in ambito tech e non solo. Chi è una woman in tech lo diciamo con le sue parole: “una donna che suggerisce o si fa carico di iniziare una trasformazione tecnologica, non solo digitale, all’interno della propria organizzazione, sia essa un’azienda che il club dell’ortensia locale. Non mi piace pensare che le donne in tech siano solo le sviluppatrici: sono tutte le donne che portano avanti una missione.”
Le lasciamo subito la parola.
Francesca, la tua esperienza varia dal web design come freelance al ruolo attuale che hai in Yoast: se dovessi riassumere il tuo percorso professionale in un mondo tecnologico, cosa diresti? Qual è la tua esperienza di donna in un mondo che – almeno nell’immaginazione di molti – è caratterizzato dalla presenza maschile?
Sono figlia d’arte. Entrambi i miei genitori hanno iniziato a lavorare nel mondo dell’informatica a partire dagli anni Sessanta. Non ho mai pensato a me stessa come “donna in tech” perché a casa mia tutti erano in tech, compresi i vicini di casa.
Ho sempre pensato a me stessa semplicemente come a una smanettona: al liceo classico, nel 1988, ero parte di un gruppo sperimentale con un indirizzo informatico. Nei primi anni Novanta ho aperto caselle di posta elettronica a tutti i miei amici appena ho capito come collegarmi a internet. Ho traghettato una compagnia area dall’uso dei telex alle email e ho creato siti in HTML fin dal 1999. Nel 2008 ho incontrato WordPress, che ho iniziato a usare come piattaforma di blogging personale e poi come CMS scelto per la creazione di siti per le mie clienti.
Lì è dove ho cominciato a capire che oltre a essere una web designer ero una web designer donna 🙂 Le mie clienti – e parlo al femminile perché nel corso di quasi dieci anni di attività i clienti uomini si contano sulle dita di una mano – si rivolgevano a me proprio in quanto donna. Questa è stata la prima volta in cui ho capito il significato di “representation matters”.
Quando poi ho iniziato a contribuire a WordPress.org, il CMS open source, ho iniziato a etichettarmi come donna in tech e ho capito che la disparità, nel mondo tech, è davvero ancora enorme: come numeri generali, le donne sono in effetti poche, e come trattamento, dal salario agli attacchi personali, in privato e in pubblico, c’è ancora moltissimo lavoro da fare. E io sono qui apposta.
Come descriveresti l’essere una “woman in tech”?
Essere una donna in tech per me è essere una donna che suggerisce o si fa carico di iniziare una trasformazione tecnologica, non solo digitale, all’interno della propria organizzazione, sia essa un’azienda che il club dell’ortensia locale. Non mi piace pensare che le donne in tech siano solo le sviluppatrici: sono tutte le donne che portano avanti una missione. Semplificare e migliorare le nostre vite grazie alla tecnologia: per farlo non è sufficiente dire a una macchina cosa fare, ma anche spiegare a chi la userà come farlo. Mi piace di più il termine STEMinist.
La tua storia con WordPress è lunga: come lo hai scoperto e come hai intuito che quello era il mondo nel quale crescere professionalmente?
Ho iniziato a creare siti web nel 1999, quando il CSS non esisteva ancora e il PHP era appena nato. Nel 2001 mi sono iscritta all’ormai defunto corso di laurea Multidams, un progetto volto a combinare le discipline di arti, musica e spettacolo con gli allora detti “Nuovi media”. Ho frequentato per circa tre anni, lavorando anche alla redazione web della facoltà. Altro che content management system (CMS)! Pubblicare una notizia o cambiare il contenuto di una pagina – compreso aggiungere le notizie nella home page – era come pubblicare file Word salvati sul server dell’università.
Il primo passo decisivo è stato trovare su internet Jeffrey Zeldman, il padre dei web standard, e the CSS Zen Garden, un progetto seminale per tutti coloro che si siano mai interessati di web design. All’università nessuno li conosceva e quindi ho capito che avevo imparato tutto quello che potevo imparare da lì.
Il secondo passo è stato scoprire la community di knitter e di craftivist, dopo la nascita di mio figlio, che mi ha portata ad aprire un blog personale. Dopo alcune prove, ho scelto WordPress e mi sono innamorata della sua facilità d’uso – per chi come me aveva già le basi – l’immediatezza della pubblicazione e la possibilità di modificare ed espandere il sistema a proprio piacimento grazie all’ecosistema di temi e plugin.
A questo punto è iniziata la discesa nella tana del bianconiglio. Prima con la scoperta dei migliaia di blog e forum nei quali reperire informazioni su WordPress e migliorare le mie competenze, e poi con l’incontro con la community italiana e quella internazionale. Queste ultime sono state la vera svolta. Qui è dove ho capito che WordPress non era solo un buon software come tanti che uso nella vita, ma un gruppo di persone appassionate e legate dalla missione di democratizzare la pubblicazione, rendendola facile per tutti e accessibile. Per quanto ci siano già milioni di siti internet creati con WP, da centinaia di migliaia di professionisti, la domanda continua a crescere, quindi mi è sembrato un buon segmento nel quale inserirmi.
Immagina di essere una ragazza di 13 o 14 anni, oppure di 17-18, che sta scegliendo il suo futuro scolastico e forse anche professionale: cosa le diresti per avvicinarla al mondo delle STEM? E più nello specifico, a un ruolo tecnico come potrebbe quello di sviluppatore in un mondo come quello che ruota attorno a WordPress?
A luglio 2021, WordPress è alla base del 42% del web. Lavorare con WordPress significa avere a disposizione un’incredibile volume di informazioni, quindi the sky is the limit. C’è sempre da imparare, quindi non ti annoierai mai. E c’è tanta, tantissima offerta di lavoro. Soprattutto all’estero, ben pagata e in aziende che sono distribuite (quindi non hanno uffici, ognuno lavora da dove vuole) oppure usano un sistema di lavoro ibrido, tra casa e periodi in ufficio, ovunque esso sia.
Le prospettive di lavoro non sono solo legate al mondo dello sviluppo. C’è bisogno di project e product manager, marketers, commerciali, developer relations e community management.
Inoltre, la community WordPress si trova spesso – al momento online – in eventi che vanno dai meetup di un paio d’ore con poche persone ai WordCamp, le conferenze che arrivano fino a tremila partecipanti. Oltre alle prospettive di lavoro, c’è un bacino enorme di esperienze dalle quali imparare per lo sviluppo personale. E tante persone da conoscere e con le quali fare amicizia e crescere insieme.
Di tutte le community tech che ho conosciuto negli anni, quella di WordPress è sicuramente una delle più aperte, amichevoli, inclusive. La leadership del progetto è formata da due persone, di cui una donna di colore. WordPress ha diverse donne in ruoli di responsabilità nel progetto, ne menziono qualcuna per incoraggiare chi leggerà questo articolo a esplorare la community:
- Helen Hou-Sandì, una delle lead developer del progetto, più volte release lead e direttrice delle iniziative open source di 10up, una delle più influenti agenzie WordPress al mondo. Per dirne una, insieme al suo team ha partecipato alla creazione del nuovo sito della Casa Bianca in sei settimane
- Tonya Mork, sviluppatrice da oltre trent’anni, esperta di testing e mentore
- Birgit Pauli-Haack, sviluppatrice e curatrice del sito Gutenberg Times, che tutte le settimane informa migliaia di persone sugli sviluppi dell’editor a blocchi. Birgit ha anche creato una lista Twitter che raccoglie oltre quattrocento donne di WordPress da seguire.
- Erin Casali, Tammie Lister, Mel Choyce – donne che hanno contribuito al design e alla UX di WordPress.
Quanto conta l’autoformazione rispetto ai percorsi educativi strutturati?
Tantissimo. Certo, si può essere laureati in informatica, ma non è strettamente necessario. Così come non è necessario iscriversi a costosi bootcamp di programmazione. Mi verrebbe da dire che solo due cose servono davvero: la conoscenza dell’inglese e la curiosità. Non sto parlando di certificazioni di lingua, anche se per alcuni ruoli possono essere richieste, ma la voglia di mettersi a parlare e scrivere in inglese, senza farsi troppi problemi. Una comunità globale usa l’inglese come lingua franca ma non si aspetta che tutti la parlino come etoniani.
E poi la curiosità: WordPress ha diciotto anni, è fatto di tanti pezzi di codice, si porta dietro un debito tecnico immenso ma è anche desideroso di modernizzare. Quindi essere jack of all trades and master of some è un ottimo approccio.
Qualche mese fa ho scritto un tweet che ha ricevuto oltre cento risposte proprio sui diversi percorsi che hanno portato le persone a lavorare con WordPress e la laurea più comune sembra essere in teologia, quindi direi che l’autoformazione continua è la strada da perseguire.
E davvero più difficile per una donna farsi largo in un mondo come il tuo?
La community WordPress nel corso degli anni ha fatto molto per aumentare la diversità del progetto. Con iniziative formali come il training sul public speaking, e con tanti esempi pratici. La versione 5.6 di WordPress, uscita a dicembre 2020, è stata guidata da un gruppo formato da donne e persone non binarie. La contribuzione è stata come sempre aperta a tutti ma il coordinamento della versione, compresa la supervisione tecnica e le decisioni finali sullo sviluppo, l’inclusione o esclusione di feature (quindi scelte che hanno impatto su milioni di siti), è stata gestita da gruppi sottorappresentati.
E non storicamente sottorappresentati, perché l’informatica è nata proprio come un mestiere da donne. Solo negli anni Ottanta, con l’arrivo dei personal computer e in parte con l’emergere del free software e dell’open source, movimenti guidati da uomini che spesso non hanno nascosto le loro posizioni misogine, è diventato un mestiere per uomini.
Quindi sì, oggi è ancora difficile farsi strada, ma non impossibile. Siamo noi stesse prima di tutto che dobbiamo combattere gli stereotipi: tutte le volte che sentiamo una ragazza dire che “I maschi sono più bravi nelle materie scientifiche” o “non vado al liceo scientifico perché sono tutti maschi”, incoraggiamola a fare quello che le piace, senza curarsi di chi saranno i suoi compagni, e diamole gli strumenti per affrontare eventuali discriminazioni. Inoltre, quando sentiamo degli adulti dire che il regno delle donne è il focolare domestico o comunque il mondo dell’accudimento, dobbiamo davvero diventare degli alleati. Nel 2021 certi discorsi non si possono più sentire: impegniamoci in prima persona per contrastarli. E impegniamoci in prima persona per fare spazio agli altri e fare nomi meno ovvi quando ci chiedono se conosciamo qualcuno per un lavoro, per un corso di formazione o per un talk a un evento.
Finisco con una citazione di Ruth Bader Ginsburg, seconda giudice donna nominata alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che mi sembra perfetta: “Quando mi chiedono quante donne saranno abbastanza [all’interno della Corte Suprema] e rispondo ‘quando ce ne saranno nove’, i miei interlocutori reagiscono con grande stupore. Ma è successo che ci siano stati tutti uomini e nessuno ne ha mai fatto una questione”.
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