A Ehiweb piace l’attenzione per le realtà piccole: l’individuo, la comunità, la pmi; e per questo motivo ci ha molto affascinato la Blue Economy, della quale vogliamo parlarvi.
Il padre è Gunter Pauli: economista, imprenditore e scrittore belga. Fermamente convinto che la Green Economy non basti a risollevare l’economia mondiale e a salvare il nostro pianeta, pubblica nel 2010 il libro-guida della sua teoria: “The Blue Economy: 10 years, 100 Innovations. 100 Million Jobs”.
Il modo di pensare di Pauli è così semplice che a tratti può sembrare davvero scontato.
Prendendo ispirazione dalla natura e dal funzionamento degli ecosistemi possiamo fondare, secondo lo studioso, un nuovo modello economico che superi quello consumistico, basato solo sul core business, il guadagno immediato, e che trascura gli effetti collaterali come l’indebitamento dei consumatori e il prosciugamento delle risorse naturali, senza preoccuparsi di risarcire i danni. Questa è la red economy che ci ha condotto alla crisi attuale. Ma dobbiamo andare oltre anche la green economy, che con il nobile intento di proteggere l’ambiente chiede maggiori investimenti alle imprese e mette sul mercato prodotti più costosi. Un modello pensato per i ricchi e non per tutti.
Lo sviluppo sostenibile è il punto di forza dell’economia blu ed è una forma di sviluppo che non ostacola le possibilità di crescita delle generazioni future, avendo cura del patrimonio e delle riserve naturali esauribili. Non si tratta quindi di un blocco della crescita, bensì della crescita economica rispettosa dell’ambiente e dei suoi limiti.
L’uomo utilizza ingenti quantità di risorse non rinnovabili, destinate ad esaurirsi. Lo sviluppo sostenibile concilia la richiesta del fabbisogno umano con le capacità produttive della terra. A differenza dello sviluppo tradizionale, attraverso il quale l’uomo fin dalla nascita ha dovuto modificare l’ambiente circostante per costruirsi uno spazio adeguato in cui vivere, lo scopo dello sviluppo sostenibile è quello di creare un regime ambientale di equilibrio. Questa nuova visione, diventata necessaria, è legata al concetto di ecosistema.
L’ecosistema è un’unità ecologica fondamentale nella quale convivono organismi che interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante. L’inquinamento sta portando allo sconvolgimento di questi equilibri, a questo proposito l’economia blu si sta impegnando a trovare una soluzione per ristabilire l’armonia ambientale.
Qualche esempio? Coltivare funghi sui fondi di caffè, imitare i sistemi di raccolta dell’acqua di un coleottero per ridurre il riscaldamento globale, sostituire le lame in metallo dei rasoi “usa e getta” con fili di seta. Fantascienza? No, realtà.
Qualche risultato: un’azienda svedese produce depuratori d’acqua sfruttando la strategia dei vortici appresa osservando i fiumi scorrere, al centro di Madrid si coltivano funghi sui fondi di caffè, al Fraunhofer Insitute in Germania è stato messo a punto un prototipo di telefono cellulare che funziona senza batteria, sfruttando le differenze di temperatura tra corpo e apparecchio, lo stesso sistema che permette al cuore di una balena di pompare 1.000 litri di sangue con un dispendio energetico di appena 6 volt.
E se ancora siete scettici pensateci bene: in natura non esistono rifiuti, né disoccupati. Forse è proprio dall’ambiente che possiamo e dobbiamo imparare tutto?
In Italia la prima regione a credere nella Blue Economy è stata la Sicilia, che è diventata la locomotiva del blue thinking nel nostro paese: il Distretto Produttivo della Pesca, l’Osservatorio della Pesca e il Forum per il Mediterraneo hanno da tempo avviato e realizzato numerosi studi, progetti e ricerche economiche, giuridiche, sociali e scientifiche afferenti alla Blue Economy, in particolare sul piano del trasferimento di tecnologie da applicare alle piccole e micro-imprese e sul piano internazionale.
La Sicilia, l’Italia, il Mediterraneo sono costellati da centinaia di micro-imprese familiari ed artigianali. Un formicolio di uomini e donne che si muovono ed operano in un territorio. Esso rappresenta l’ossatura delle economie regionali e di intere nazioni.
In questa chiave il Distretto assume una dimensione non solo economica ma anche sociale, ambientale e culturale. La creazione di tanti piccoli Distretti nella Regione mediterranea è la premessa del Distretto Mediterraneo, che rappresenta la Rete delle reti: network essenziale per la creazione di posti di lavoro in loco nei territori della sponda Sud e frenare così “l’emorragia” di migliaia di esseri umani che ogni giorno tentano di raggiungere l’Europa. La proposta è la costituzione di una Blue Economic Zone.
I dieci principi alla base del progetto, che sta regalando ottimi risultati sono:
- Pensare alle risorse ittiche e marine sulla base dell’effettiva capacità produttiva del mare
- Protezione e preservazione dell’ambiente marino
- Internazionalizzazione, intesa non come conquista di nuovi mercati ma in termini di cooperazione fra i mercati
- Gestione attraverso l’approccio scientifico, privilegiando ricerca e formazione
- Disponibilità pubblica delle informazioni
- Procedimenti decisionali trasparenti ed aperti
- Approccio cautelativo
- Approccio sistemico
- Utilizzo sostenibile ed equo delle risorse
- Responsabilità degli stati quali controllori dell’ambiente marino globale e dei singoli individui
Che ne pensate di questo modo di pensare e di vivere in un’ottica più piccola, particolarmente attenta all’individuo e alle comunità locali? Credete nella possibilità di ottenere dei risultati positivi o siete assolutamente scettici? Parliamone!