IPv4, IPv6: che differenza c’è? E me ne dovrebbe fregare qualcosa?

Forse l’avete sentito: stiamo per passare da IPv4 a IPv6. Che differenza c’è? Se siete dei tecnologi, dei geek o dei nerd, saltate pure questo post. Se siete degli esseri umani normali, con un minimo di interesse verso Internet, leggete. Perché la cosa ci riguarda tutti. E proprio per questo la cerchiamo di spiegare in un linguaggio accessibile a tutti. Inevitabilmente commettendo qualche errore di semplificazione, che gli esperti speriamo ci perdoneranno in nome della divulgazione.

l’IPv4 è il “protocollo di comunicazione”, diciamo la lingua che è stata sviluppata parecchio tempo fa per permettere a computer, router e tutti gli altri device collegati a Internet di parlarsi fra di loro. Di scambiarsi informazioni. E soprattutto di “trovarsi”. Ogni device connesso in rete ha infatti un indirizzo – il cosiddetto indirizzo IP (avete presente quei numeretti tipo 192. 198.1.10? Ecco, quello è un indirizzo IPv4). Anche voi, quando vi collegate a Internet vi beccate un indirizzo IP assegnato dal provider, che è l’identificativo che permette alla vostra macchina di connettersi.

Quel che è capitato è stata in parte una cosa tipo Millennium bug. Quando, tanti anni fa, è stato sviluppato il protocollo IPv4, nessuno si sognava che ci sarebbero stati miliardi di computer connessi a Internet. Nessuno aveva previsto il successo galattico di Internet. E nessuno aveva previsto che non ci sarebbero stati, collegati alla Rete, solo computer con dietro delle persone; ma anche cellulari e soprattutto macchine senza umani dietro. Sensori, videocamere, distributori di bevande, televisori, automobili, slot machine… miliardi di apparati che per comunicare con un computer centrale (e la Rete) usano Internet. Quella che si chiama la “Internet of Things”. E tutti questi apparati hanno bisogno di un indirizzo. Il problema è che un indirizzo è come un numero di telefono: non ce ne possono essere due uguali. Ognuno deve avere il suo.

Così, da un po’ di tempo, ci si è resi conto che gli indirizzi sarebbero presto finiti, e si sarebbe rischiato di non potere più accettare nuovi computer su Internet. Grosso problema, specialmente contando che stanno arrivando miliardi di nuovi utenti da Cina, India e altri paesi emergenti. Che hanno bisogno di nuovi indirizzi.

Problema risolto. Se IPv4 può arrivare al massimo a 2 alla trentaduesima indirizzi, IPv6 è fatto per poterne avere 2 alla centoventottesima potenza. E quindi per un po’ potremo stare tranquilli.

IPv6 ha però anche altri significativi miglioramenti, che magari l’utente medio non noterà, a parte una certa maggiore rapidità nel collegamento, grazie ad una maggiore efficienza nell’instradamento dei pacchetti di dati… (ooops, siamo scivolati in descrizioni tecniche, chiediamo scusa…) ma che semplificano molto la vita dei tecnici che devono gestire e tenere in piedi grandi reti di comunicazione, come ad esempio noi provider. Inoltre, si dovrebbe avere un significativo aumento della sicurezza dei nostri dati quando sono in giro per la Rete. E, tra le altre cose, IPv6 è studiato per far funzionare meglio Internet Mobile, dato che siamo sempre più attaccati alla Rete sui nostri smartphone.

Anche se gli indirizzi IP sono già finiti (in alcune aree del mondo) già da qualche mese, con un po’ di trucchetti e ingegnose scappatoie si è finora riusciti a cavarsela (con effetti collaterali negativi, ad esempio sulle velocità di connessione/ampiezza di banda); nel frattempo è stato sviluppato il nuovo protocollo, testato su scala mondiale (qualcuno magari ha sentito parlare dell’IPv6 day, tenutosi nel mondo l’ 8 Giugno scorso).

Cosa devo fare per non avere problemi?

In realtà niente. Vi raccontiamo una storia. Uno dei nostri clienti è una società commerciale di cui gestiamo la rete e con cui abbiamo deciso di fare un test “sul campo”. Abbiamo distribuito a tutta la rete, nostra e loro, indirizzi IPv6 e hanno cominciato a navigare in IPv6. La maggior parte degli utenti di questa rete non si è accorto di nulla e stanno ancora navigando in IPv6… senza saperlo!

Quindi, se il provider lavora bene, l’utente non si accorgerà di nulla. E uno di questi giorni probabilmente vi ritroverete a viaggiare con IPv6 senza nemmeno accorgervene (o magari sentendo che state andando un po’ meglio, in Rete).

Ehiweb e l’IPv6 – un impegno che dura da anni

Noi non siamo stati a guardare in questi anni e, pur usando nel migliore dei modi il nostro spazio di indirizzamento IPv4 per poterlo utilizzare il più a lungo possibile, abbiamo cominciato a lavorare su IPv6 per farci trovare pronti.

Abbiamo tanti pezzi di rete da rendere “IPv6 enabled”. In particolare pensiamo al “core”, il punto nevralgico della nostra rete, al datacenter dove ospitiamo i nostri server e quelli dei clienti, e alla nostra rete ADSL.

Per poter mettere in pista IPv6 sulla nostra rete, i nostri top tecnici si sono armati di buona volontà e hanno frequentato corsi, oltre a studiare sodo per implementare in ufficio un vero e proprio laboratorio di simulazione per questa attività.

Dopo una prima fase di test di laboratorio, abbiamo definito una roadmap per rendere la nostra rete “IPv6 Ready”. Stiamo lavorando molto intensamente perché il passaggio a IPv6 dovrà essere indolore e senza problemi; e da quel che vediamo ci riusciremo sicuramente, sia per quello che riguarda la rete, sia per quello che riguarda l’hardware che vendiamo di più, cioè i Fritz!

Abbiamo eseguito numerose prove con IPv6 sul Fritz! e con la collaudata sinergia del supporto tecnico di AVM abbiamo creato le prime configurazioni IPv6 sulla nostra rete d’accesso ADSL, pronte per essere utilizzate nella fase “on the road”.

Insomma, come al solito, cerchiamo di prenderci carico della complessità, perché ai nostri clienti resti solo la facilità…