Una rubrica che finalmente ritorna, con nostro grande piacere e la sicurezza che interesserà molte delle tante persone che leggono il nostro blog: le interviste con alcune professioniste che gravitano nell’orbita del digitale, dalla nostra consulente e psicologa del lavoro Laura Magnani a Tatiana Schirinzi, nostra specialista SEO, fino a Roberta Zantedeschi e Francesca Marano. Punti di vista ed esperienze diverse sul mondo del lavoro che generano riflessioni sempre interessanti, per chi ne fa già parte e per chi punta a farne parte
Valentina Di Michele è la madrina dello UX Writing e Content Design in Italia, guida la sua Officina Microtesti e prendiamo a prestito il suo profilo Linkedin per dire di cosa si occupa: progettare l’interazione delle persone con i contenuti e delle persone con le persone. Ce lo spiegherà con più parole nel corso di questa intervista.
In particolare, Valentina organizza DiParola Festival, evento dedicato al linguaggio chiaro e accessibile che riunisce una volta l’anno professionisti e studiosi che credono nel valore della ricerca e della promozione di una comunicazione chiara, a beneficio di tutti e tutte, e che quest’anno ha dato alla luce anche l’Osservatorio sul linguaggio chiaro nei siti della Pubblica Amministrazione italiana.
Un evento che abbiamo sponsorizzato con convinzione, anche sull’onda del lavoro speso e di quanto abbiamo imparato e messo alla prova nel creare il nostro sito nuovo, andato online a giugno 2024.
Data l’occasione, non ci siamo voluti far sfuggire Valentina, e le passiamo subito la parola.
Valentina, ci racconti un po’ cosa fai per lavoro?
Il mio lavoro è legato al linguaggio: aiuto le organizzazioni a progettarlo perché sia chiaro e accessibile per tutte le persone che lo usano e lo leggono. Ha un nome inglese (Content Experience Manager), ma è qualcosa di molto concreto: aiuto a comunicare meglio e senza barriere all’ingresso.
Ho creato uno studio chiamato Officina Microtesti che cura la comunicazione chiara di grandi e piccole aziende e di Enti della Pubblica Amministrazione. All’inizio ci occupavamo soprattutto di siti web, app e software, oggi ci chiamano anche per migliorare la comunicazione interna alle imprese.
Dalla tua formazione in avanti, che strada hai fatto per fare quello che fai oggi? Come hai iniziato e come sei arrivata alle tue competenze attuali?
Mi sono laureata in Lettere e Filosofia, e il mio sogno era scrivere di cinema. L’ho fatto per molti anni per una rivista online del Parlamento Europeo: scrivevo di industria cinematografica – quanto costa questo film, chi ci lavora.
In parallelo collaboravo con agenzie di contenuti per il web, fino a quando non è diventato il mio lavoro prevalente. Dal 1999 ho creato contenuti di tutti i tipi, dalle brochure ai manuali d’uso delle lavatrici. Dal 2007 ho iniziato a occuparmi di software e piattaforme digitali, fino a quando al mio lavoro non è stato dato un nome: “UX Writer” (e anni dopo “Content designer”). Nel 2018 ho creato una community dedicata a questo tema, che ha avuto successo. Ho creato così il mio studio e iniziato a lavorare con grandi clienti: della tecnologia, ma anche banche, start-up, e-commerce e molto altro.
Cosa ti ha ispirata e ti ha fatto capire che questa era la strada da seguire?
Ho seguito quello che sapevo fare e mi sembrava mi costasse minor fatica. Credo molto nel potere delle parole e nella possibilità di impegnarsi per cambiare, insieme.
Ho trovato una nicchia molto specifica, ma piena di persone che credono che il cambiamento passi attraverso il linguaggio. E la nicchia è diventata un grande gruppo.
DiParola Festival è una delle iniziative più visibili in Italia per quello che riguarda il linguaggio chiaro e accessibile, ma tu fai molto di più. Parlando di UX Writing o Content Design, puoi raccontarci cos’è e perché oggi non si può ignorare?
Con il mio studio “semplifico la complessità”, cioè rendo accessibili contenuti per un grande pubblico. Per esempio, progettiamo una navigazione basata di “microcopy”, cioè piccoli blocchi di testo, chiari e inclusivi.
Pensiamo a quando acquistiamo su Amazon: tutte le informazioni su un prodotto, quanto costa, come sarà spedito, come restituirlo, sono microcopy. Hanno delle regole di scrittura che permettono di capire velocemente e di usare il servizio.
Noi facciamo questo, ed è un’attività in grande crescita in Italia.
Il Content Design è per tutti, ma nella tua esperienza ci sono settori o nicchie nelle quali si può portare con più facilità? E quando incontri resistenze, di che tipo sono e da dove nascono?
Sicuramente il settore della tecnologia “nasce” per ospitare microcopy chiari e accessibili. Ma di recente ci hanno contattato aziende che fanno tutt’altro: dai mobili alle padelle. Cosa c’entrano i microcopy con le padelle? La buona comunicazione è parte della nostra esperienza umana, c’entra sempre, e dal micro arrivi sempre al “macro”. Per esempio, lavoriamo con molte Pubbliche Amministrazioni che hanno bisogno di riprogettare i loro testi per renderli più comprensibili alla cittadinanza.
Le resistenze ci sono sempre: tutte le persone parlano e scrivono, e siccome parlano e scrivono pensano di farlo nel modo migliore. Fa parte di un modello mentale. È più facile contestare un testo che un visual (la grafica insomma) oppure il codice di programmazione.
Ma dopo tanti anni ho sviluppato un’enciclopedia di risposte da dare, e di solito funzionano.
Cosa consigli a chi vuole diventare Content Designer? E a chi vuole capire meglio di cosa si parla quando si parla di linguaggio chiaro e accessibile? Ci sono e quali sono secondo te le strade lavorative percorribili in Italia?
L’Italia è un paese strano, nel quale le professioni “verticali” funzionano poco. Chi fa Content design deve avere tante competenze, di UX design, cioè di progettazione delle interazioni digitali, e di scrittura, di SEO, di accessibilità. Il mio consiglio è sempre studiare, e leggere tutto, anche la narrativa. Ci sono tante risorse gratuite, per esempio la newsletter del DiParola Festival, che ogni 2 settiman2 arriva con buone pratiche di linguaggio chiaro o il blog di Officina Microtesti, che è una miniera di buone pratiche per chi vuole diventare Content designer o UX Writer.
E poi ci sono i nostri corsi on demand, cioè registrati: in 3 anni abbiamo formato 4500 persone.
In Italia c’è lavoro, gli annunci contengono sempre la richiesta di competenze di Content design o UX Writing, ma vengono chiamate in altri modi, “content specialist”, “content editor”, o “copywriter”, che è un lavoro molto diverso ma spesso si fa confusione.
Cosa ti dà più soddisfazione del tuo lavoro?
Le persone che incontro. Chi lavora col linguaggio ha la responsabilità di creare un’ecologia delle parole. Di lasciare il mondo un po’ migliore.
Ci credo moltissimo.