Un altro post sulle bufale online? Sì, perché se ne parla molto ma non abbastanza e sono ancora troppe le bufale – più o meno gravi – che vediamo circolare sui social, su alcuni siti “macinaclick” e a volte, purtroppo, riprese anche dai grandi quotidiani, cartacei o online. Notizie false, con una diffusione così grande che anche “sbufalarle” sembra un’azione destinata ad apparire inutile.
Non dobbiamo arrenderci, qualcosa possiamo farlo tutti: e noi, come azienda che vende strumenti per andare online, ne parliamo per rendere Internet un contenitore di risorse, informazioni e notizie utili sempre migliore, in grado di aiutarci a lavorare e a vivere meglio.
Post-verità, parola dell’anno: quando la verità perde forza
È una questione sentita e dibattuta in Italia ma soprattutto all’estero, e se ne parla usando spesso il termine post-verità, parola dell’anno per l’Oxford Dictionary. In breve, è la “menzogna sdoganata”, come spiega Luca Sofri, direttore del quotidiano online Il Post: non solo bugie, che ci sono sempre state, ma la perdita di forza della verità, che non è più “in una condizione di forza rispetto alla bugia” e non riesce più a marcare la differenza.
Il giornalismo ha o dovrebbe avere un ruolo importante e segnare un solco ben visibile rispetto a ciò che è disinformazione, ma in Italia è successo (e succede) che anche le testate – che dovrebbero darci garanzia di pubblicazione di fatti e storie verificate – siano cadute nella trappola della bufala, riportando notizie false circolate sui social o altrove senza prima verificarle.
L’errore capita, ma la correzione dovrebbe essere altrettanto pubblica e visibile: se dopo aver fatto circolare una bufala non succede più nulla, tutto rimane immobile e le bufale continuano a diffondersi e a prendere forza.
I social e le grandi aziende come Google non stanno a guardare, per fortuna. Più o meno lentamente e con efficacia variabile hanno cominciato a sorvegliare la circolazione di bufale. Facebook, che è sempre più contenitore, veicolo e volano di news, ha appena annunciato il suo Journalism Project e descrive il ruolo attivo che vuole avere nel combattere le bufale: dare più possibilità ai suoi iscritti di segnalarle, tagliare i guadagni che derivano dalla diffusione di notizie false, collaborare con terze parti che si occupano di fact-checking.
Google, da parte sua, ha deciso di prendere le contromisure necessarie stringendo ancora di più le maglie della sua piattaforma AdSense e vietando l’uso dei banner pubblicitari ai siti “macinaclick” di cui sopra, quelli che inventano, pubblicano e diffondono notizie false per generare ricavi dai banner.
Il quadro è ampio, le azioni messe in campo dalle grandi aziende forse in ritardo ma una presa di coscienza pubblica è un primo passo.
Cosa possiamo fare noi per combattere le bufale
E noi? Tutti noi che distrattamente clicchiamo sul pulsante “condividi” quando una notizia ci colpisce per poi magari scoprire che era tutta una montatura? La lista di esempi è quasi infinita: vendite scontatissime (così scontate da essere irreali) di noti marchi, classici come la violazione della privacy di Facebook con tanto di finto appello della Guardia di Finanza a condividere un testo inutile, WhatsApp a pagamento, fino ad arrivare a notizie gravi e pericolose davvero come la diffusione di un’epidemia di meningite di qualche giorno fa, epidemia che poi tale non era.
E molto, molto altro ancora: il ponte crollato sulla Salerno-Reggio Calabria, una frase mai pronunciata dal neo Presidente del Consiglio Gentiloni, la magnitudo del terremoto abbassata dallo stato per non risarcire i terremotati. Tutto molto grave di per sé, peggiorato dal fatto che chi fa circolare per primo queste notizie, su queste notizie ci guadagna.
Il personaggio che bisogna citare in questo caso è Ermes Maiolica, nome d’arte di un metalmeccanico che di secondo lavoro inventa bufale e con puntualità le fa diventare virali, come la notizia della Volkswagen pronta a regalare 800.000 auto invendibili a causa dello scandalo della certificazione dei consumi, bufala che su Facebook ha avuto centinaia di migliaia di condivisioni.
Maiolica non guadagna soldi dalle bufale ma si adopera per dimostrare quanto sia facile far circolare una notizia falsa, pur se clamorosa. Le sue bufale non sono mai perfette e sono firmate da lui ma nonostante questo diventano famose, virali.
Le regole per non diffondere bufale sono poche e facili da applicare, ne abbiamo già parlato:
- Non condividere al volo dopo uno sguardo superficiale
- Verificare la fonte: alcuni siti che spacciano bufale sono identificabili con facilità
- Cercare informazioni sui social e su Google per chiarirsi le idee
- Su Facebook, segnalare la notizia come falsa: è facile, basta cliccare sulla freccina che si trova in alto a destra in ogni post, scegliere “segnala questo post” e segnalare la notizia falsa
Per restare informati sulla questione bufale, due siti di news di riferimento sono Il Post e Valigia Blu. Fondamentale (ancora di più di recente), il lavoro di Paolo Attivissimo con il suo storico sito Disinformatico, che abbiamo già segnalato in un post precedente.
Su Facebook, tutto quello che riguarda medicina e dintorni ha come riferimenti il medico Roberto Burioni e MedBunker, anche su blogspot, del medico Salvo Di Grazia.
Altri siti da tenere come riferimento per sapere subito o in poco tempo se una notizia è vera o falsa sono Bufalopedia, che ha anche una paginacon l’elenco dei migliori siti antibufala, Bufale.net, Butac.